La strage di Valdibure conta cinque vittime civili, tutti uomini adulti. Questi vennero prelevati dalle loro case a Santomoro, una frazione collinare del Comune di Pistoia situata in Valdibure, la notte tra il 21 e il 22 giungo 1944. Luigi Ferri, Alipio Guastini e Alighiero Ricciarelli erano di Santomoro, paese immediatamente adiacente al luogo dell’eccidio; Nello Fioretti e Corrado Palanchi erano sfollati originari di Pontelungo, una località in pianura nella prima periferia del Comune di Pistoia. L’eccidio sarebbe stato scatenato per rappresaglia, almeno secondo quanto raccontato e tramandato dagli abitanti locali: si disse che questi fatti di sangue furono la risposta al ferimento di un soldato tedesco. Anche se non ci sono resoconti o prove rilevate in sede storica che si sia trattato effettivamente della reazione ad un’azione armata compiuta da partigiani o civili, l’ipotesi della rappresaglia è coerente con le modalità del rastrellamento.
I cinque uomini furono scelti in maniera casuale dalla truppa di occupazione nazista che presidiava il luogo all’alba del 22 giungo e furono portati in località Serrantona, una piccola zona semi-boschiva vicino alla Pieve di Valdibure e a Lupicciano. Lì vennero barbaramente fucilati. Ricciarelli, benché ferito, tentò invano di fuggire e di nascondersi: fu raggiunto e immediatamente fucilato. Se si percorre a piedi il sentiero che porta al luogo dell’eccidio, ci si rende conto dell’assenza totale d’illuminazione, del paesaggio intorno a noi che è sempre più uguale a sé stesso e dispersivo. Passeggiare per luoghi come questi, consapevoli della loro portata storica, permette inevitabilmente di riflettere sul gelo e sulla brutalità di eventi che se lasciati all’oblio sembrano lontanissimi ma che, in realtà, ci sono più vicini di quanto immaginiamo.
Il parroco di Santomoro, don Dino Chimeri, si attivò per recuperare i corpi delle vittime e per dare loro degna sepoltura. Egli ricordava così il tragico episodio:
il fatto fu inaspettato perché tutti credevano che gli ostaggi venissero portati a fare qualche lavoro. Il parroco informato raggiunse la località domandando ai tedeschi di poter portare via i corpi che erano stati sepolti in modo sommario. In un primo momento gli fu negato, il sacerdote non si perse d’animo e raggiunse il comando tedesco dove finalmente ottenne il permesso di sepoltura.
A ridosso del cippo si trovano cinque cipressi, come cinque furono le vittime della strage. Il cipresso non è scelto casualmente: considerato l’albero del lutto per antonomasia, è allo stesso tempo un sempreverde, dunque anche simbolo della vita e dell’immortalità.