La strage si consumò a Montale ed è inseribile nel complesso delle uccisioni avvenute nel contesto della ritirata delle truppe tedesche. I paesi attraversati in quei giorni dalla 362° divisione di fanteria della Wermacht erano Agliana e Montale, liberati rispettivamente il 4 e l’8 settembre.
All’alba del 4 settembre vennero uccisi per rappresaglia cinque civili. Il giorno precedente un soldato tedesco aveva fermato un uomo in bicicletta per interrogarlo e questo aveva reagito uccidendolo. Non ne abbiamo la certezza, ma è possibile che il ciclista fosse una staffetta partigiana: nel territorio di Montale operavano diverse formazioni partigiane, in particolare la «Brigata Agliana» e un distaccamento della «Brigata Bozzi» la quale, senza intestarsi la paternità dell’esecuzione, riporta l’accaduto nel proprio diario.
I commilitoni del tedesco defunto avviarono il consueto rastrellamento passando in rassegna i paesi di Agliana e Montale con l’intenzione di arrestare chiunque avessero incontrato; riuscirono a catturare sei ostaggi: Giuseppe Bessi, Antonio Gambi, Anselmo Giugni, Luigi Malusci, Nello Staderini e Vincenzo Bernini. Nella notte fra il 3 e il 4 settembre fu inscenato un processo farsa e i sei uomini vennero condannati a morte. Fu deciso che l’esecuzione sarebbe avvenuta per impiccagione, per cui all’alba del 4 settembre alcuni degli alberi di Via Roma a Montale furono preparati con le corde che avrebbero dovuto strangolare gli uomini. Uno di loro, Vincenzo Bernini, che era un ex pugile, riuscì ad assestare i giusti colpi al tedesco che gli stava davanti riuscendo a fuggire e a mettersi in salvo gettandosi rapidamente nel torrente Agna.
Gli altri cinque vennero impiccati e i loro corpi mitragliati. Il comando tedesco vietò alla popolazione di rimuovere i cadaveri, i quali rimasero esposti per i cinque giorni successivi quando, con la Liberazione di Montale, poterono essere rimossi e sepolti.
Tale evento non è ricordato solamente dalla lapide commemorativa, ma anche dalla toponomastica: Via Roma, luogo dell’impiccagione, divenne Via Martiri della Libertà, un nome che ben si sposa con il significato simbolico che si scelse di dare all’accaduto e che si ritrova anche sulla lapide stessa. Questa, in bronzo e di forma rettangolare, si inarca nella parte superiore per accogliere l’incisione di una palma, simbolo non solo di giustizia ma anche di martirio, simbolicamente sinonimo di testimonianza. Le cinque vittime di Montale non furono solo testimoni diretti ma, con i loro corpi, resero testimonianza di ingiustizia e di violenza incontrollata a tutti coloro che passavano da quel luogo.